Fra Dolcino

Di Dolcino da Novara o come più spesso viene indicato Fra Dolcino non si hanno notizie certe. Si ipotizza che fosse nato nell’intorno del 1260 a prato Sesia o comunque nell’Alto Novarese. Nel 1291 entra nel movimento degli Apostoli fondato da Gerardo Segarelli. È dubbia anche la definizione di “frate”, con cui spesso Dolcino viene definito, in quanto non risulta che abbia mai pronunciato i voti religiosi, bensì sembra derivare dal fatto che spesso si autodefiniva “fratello” all’interno del movimento ereticale.
Gli Apostoli, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e Segarelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda e nei dintorni di Trento dove nel 1303, conobbe la giovane Margherita Boninsegna che divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia. Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente.
Approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti, nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesia e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione. Dolcino si stanziò per un lungo periodo nella località denominata Parete Calva situata presso Rassa.
Da qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati da Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si realizzassero.
La Crociata contro Dolcino fu bandita dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito di papa Clemente V nel 1306.
Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, il luogotenente Longino da Bergamo e Margherita.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d’acqua che scorre vicino a Biella, su un isolotto raggiunto dal “Ponte della Maddalena”.
Dolcino fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate, infine fu issato sul rogo e arso vivo di fronte alla Basilica di Sant’Andrea.
Il mito di Dolcino fu più volte ripreso in letteratura e non solo.
Dante ricorda Dolcino nella Divina Commedia con questi versi:


«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve.»
(Inferno XXVIII, 55-60)

In tempi più moderni Dario Fo e Franca Rame nel 1977 fecero tornare in auge, con la commedia teatrale Mistero Buffo, nella giullarata di Bonifacio VIII, la leggenda di Dolcino e del suo maestro, visti come precursori del socialismo.
Nel 1980 Umberto Eco inserì nella trama del celebre romanzo Il nome della rosa due personaggi (il cellario Remigio da Varagine e il suo aiutante Salvatore) che vengono giudicati (e infine condannati al rogo) per il loro passato di seguaci dolciniani.