Descrizione
Quota iniziale : 272 m
Quota max: 625 m
Dislivello: 961 m comprese le perdite di quota
Distanza totale A/R: 18,80 km
Tempo: 6:00 h escluse le soste
Oggi abbiamo deciso di percorrere il sentiero 700 detto anche di Fra Dolcino che da Gattinara raggiunge la Pietra Groana. Questo sentiero prende il nome dall’eretico Fra Dolcino che in località Pian di Cordova, non lontano da Gattinara, secondo la leggenda, si sarebbe accampato coi suoi seguaci e avrebbe percorso questa dorsale prima di inoltrarsi nell’alta Valsesia.
L’itinerario che abbiamo seguito parte da Gattinara e termina a Serravalle Sesia pertanto occorre organizzarsi con due auto per rientrale al punto di partenza.
È un percorso abbastanza lungo visti i quasi 19 chilometri, con più di 900 metri di dislivello accumulati, fatto di salite spesso molto ripide, se pur brevi, e discese in picchiata su sentiero non sempre agevole e scavato dai solchi della mountain bike. L’intero giro, per quanto senza particolari difficoltà tecniche per gli adulti, non è adatto ai più piccoli per l’impegno fisico richiesto. I bimbi possono fermarsi alla Torre Le Castelle (itinerario percorribile anche in passeggino e in auto in periodi di poca affluenza) mentre i più grandicelli possono spingersi fino al Castello di S. Lorenzo. Qualche anno fa abbiamo descritto un itinerario ad anello un po’ più breve e con la metà del dislivello e che potete trovare qui.
Lasciata la prima auto nel parcheggio gratuito di via Fanghetti a Serravalle Sesia rientriamo con la seconda auto a Gattinara dove parcheggiamo nel parcheggio gratuito di via Marconi accanto all’inizio del nostro itinerario che parte proprio da via Monte Bianco.
Imbocchiamo la strada asfaltata e dopo circa cento metri svoltiamo a destra in via alla Torre. La strada inizia a risalire la collina tra bei murales e scorci panoramici e in quindici minuti siamo al bivio per la Torre Le Castelle. Teniamo la sinistra e raggiungiamo il piazzale dove sorge la Torre delle Castelle, la chiesetta della Madonna della Neve e la panchina gigante n. 35 di Gattinara facente parte del progetto Big Bench Community Project. Sullo spiazzo accanto alla chiesa è stato anche posato un grande calice simbolo del prodotto di questo territorio e realizzato dall’artista Ruben Bertoldo. Si tratta del calice n. 2 facente parte di un gruppo di 6 calici posati in punti strategici del territorio di Gattinara sull’itinerario chiamato la Via dei Calici.
Dopo una breve visita ritorniamo al bivio per proseguire a sinistra lungo il sentiero 700 che da strada asfaltata si trasforma in sterrata. Rimanendo sempre sul percorso principale e ignorando le varie deviazioni camminiamo tra i famosi vigneti di Gattinara, passiamo un altro Calice, il n. 4, e in circa 20 minuti dalla Torre arriviamo ad un incrocio. Abbandoniamo l’itinerario Dolciniano che prosegue a sinistra per prendere a destra ed andare a visitare il Castello di S. Lorenzo e lo splendido panorama che si può ammirare dal suo piazzale (15 minuti dal bivio), da qui si vede anche molto bene la Torre che abbiamo lasciato poco fa.
Ritorniamo al bivio e continuiamo il nostro cammino sul sentiero 700 che prosegue praticamente in piano, passa accanto ad un grosso traliccio e giunge in pochi minuti alla deviazione per la Pietra Romanasca, un grosso sperone roccioso che offre un bel panorama sul castello di S. Lorenzo.
Non trovando il sentiero che proseguirebbe sulla dorsale (attenzione a non prendere l’evidente sentiero che si stacca alla sinistra della Pietra e scende in picchiata a valle perché in realtà è un percorso per le mountain bike che va da tutta un’altra parte) ritorniamo all’ultimo bivio e proseguiamo svoltando a destra.
Proseguiamo rimanendo sulla via principale ignorando la deviazione per la Fontana d’Or e risalendo fino a Cima Scalvai (548 m). Ridiscendiamo dal versante opposto per subito risalire verso la Rusca Randa (554m).
Ancora una volta riperdiamo quota per risalire fino ad una stazione meteo dove abbandoniamo la strada che prosegue dritto verso il Rifugio Alpini di Lozzolo per prendere a destra seguendo le indicazioni sentiero 700 di Fra Dolcino.
Iniziamo una ripida discesa su sentiero a volte un po’ inerbito e a volte rovinato dai profondi solchi scavati dalle mountain bike ma comunque con un panorama spettacolare sulla Pietra Groana e il Monte Barone.
Intercettata di nuovo una sterrata proseguiamo sempre in discesa fino ad un incrocio dove svoltiamo a sinistra e all’incrocio subito dopo proseguiamo dritto in leggera salita. In circa quindici minuti sfioriamo la Cima Accatta (451m). Inizia ora un tratto in cui tratti in piano o in discesa si alternano ripide salite fino a giungere a Cima Rimottina (489m). Qui ricominciamo a scendere fino ad arrivare in un quarto d’ora ad un incrocio. Sempre rimanendo sul sentiero 700 proseguiamo dritto in ripida salita. Inizia ora il tratto più impegnativo di tutto il giro con pendenze importanti che in alcuni tratti superano il 60% e che, anche se brevi, si sentono parecchio. Ignorando tutte le deviazioni e rimanendo sul sentiero 700 in poco più di mezz’ora siamo sulla cima Frascheia. Ancora una volta scendiamo dal lato opposto fino ad intercettare la strada sterrata Traversagna che seguiamo a destra. Con una serie infinita di saliscendi e ignorando un primo bivio arriviamo alla Bocchetta di Chignole. Il sentiero 700 qui proseguirebbe in salita sulla destra verso la Pietra Groana per poi scendere alla Bocchetta d’Ovasine. L’abbiamo percorso una settimana fa ma avendolo trovato con alberi caduti ed essendo ormai tardi decidiamo di non salire e proseguiamo invece per la Bocchetta di Ovasine seguendo il sentiero 706 che, per il primo tratto, coincide col sentiero dei Morti in Brenta.
Proseguiamo quindi su strada sterrata e in circa 20 minuti arriviamo alla Bocchetta di Ovasine dove sbuca anche il sentiero 700 che scende dalla Pietra Groana e abbiamo la conferma che è ancora ostruito da piante cadute.
Qui termina il sentiero 700 dedicato a Fra Dolcino, per la discesa a Serravalle Sesia decidiamo di seguire il sentiero 705 che si stacca verso est.
Dopo poche centinaia di metri capiamo subito che non è stata una grande idea, anche qui troviamo piante cadute sul sentiero e tantissime foglie che nascondono il sentiero e lo rendo molto scivoloso per non parlare che per circa un chilometro e mezzo è in salita! In alcuni punti è strettino ed aereo e non permette distrazioni, giunti nel punto più alto, rimaniamo sconcertati dal trovare un cumulo di rifiuti che qualcuno ha portato fin qui. Delusi dal ritrovamento iniziamo la ripida discesa in cui occorre seguire le indicazioni sugli alberi perché il sentiero è sepolto dalle foglie ed è quasi invisibile ma alla fine arriviamo alla Chiesa di S. Antonio Abate e quindi alla strada asfaltata che ci riposta alla macchina che avevamo lasciato qui al mattino.
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Leggende storia e curiosità
Fra Dolcino
Di Dolcino da Novara o come più spesso viene indicato Fra Dolcino non si hanno notizie certe. Si ipotizza che il suo vero nome fosse Davide Tornielli e che fosse nato nell’intorno del 1260 a prato Sesia o comunque nell’Alto Novarese. Nel 1291 entra nel movimento degli Apostoli fondato da Gerardo Segarelli. È dubbia anche la definizione di “frate”, con cui spesso Dolcino viene definito, in quanto non risulta che abbia mai pronunciato i voti religiosi, bensì sembra derivare dal fatto che spesso si autodefiniva “fratello” all’interno del movimento ereticale.
Gli Apostoli, in sospetto di eresia e già condannati da papa Onorio IV nel 1286, furono repressi dalla Chiesa cattolica e Segarelli fu arso sul rogo il 18 luglio 1300.
La predicazione di Dolcino si svolse anzitutto nella zona del lago di Garda e nei dintorni di Trento dove nel 1303, conobbe la giovane Margherita Boninsegna che divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione.
Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia. Qui, a causa delle severe condizioni di vita dei valligiani, le promesse di riscatto dei dolciniani furono accolte positivamente.
Approfittando del sostegno armato offerto da Matteo Visconti, nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente la Valsesia e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione. Dolcino si stanziò per un lungo periodo nella località denominata Parete Calva situata presso Rassa.
Da qui, il 10 marzo 1306, tutti i seguaci, abbandonati da Visconti, si concentrarono sul Monte Rubello sopra Trivero (poco distante dal Bocchetto di Sessera, nel Biellese), nella vana attesa che le profezie millenaristiche proclamate da Dolcino si realizzassero.
La Crociata contro Dolcino fu bandita dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito di papa Clemente V nel 1306.
Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307, le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino, dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato. Tutti i dolciniani, comunque, vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, il luogotenente Longino da Bergamo e Margherita.
Margherita e Longino furono arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, il corso d’acqua che scorre vicino a Biella, su un isolotto raggiunto dal “Ponte della Maddalena”.
Dolcino fu condotto su un carro attraverso la città di Vercelli, venne torturato a più riprese con tenaglie arroventate, infine fu issato sul rogo e arso vivo di fronte alla Basilica di Sant’Andrea.
Il mito di Dolcino fu più volte ripreso in letteratura e non solo.
Dante ricorda Dolcino nella Divina Commedia con questi versi:
«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve.»
(Inferno XXVIII, 55-60)
In tempi più moderni Dario Fo e Franca Rame nel 1977 fecero tornare in auge, con la commedia teatrale Mistero Buffo, nella giullarata di Bonifacio VIII, la leggenda di Dolcino e del suo maestro, visti come precursori del socialismo.
Nel 1980 Umberto Eco inserì nella trama del celebre romanzo Il nome della rosa due personaggi (il cellario Remigio da Varagine e il suo aiutante Salvatore) che vengono giudicati (e infine condannati al rogo) per il loro passato di seguaci dolciniani.
Fonte: Wikipedia