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Alpe Veglia - Punta del Rebbio, Pizzo Mottiscia e Helsenhorn

Descrizione

Quota iniziale : 1322 m
Quota finale: 1730 m
Dislivello: 408m all’Alpe + 160 m per le deviazioni
Tempo: 1:35 h +20′ + 15′ per le deviazioni

Oggi abbiamo deciso di tornare in un luogo fatato che ci è rimasto nel cuore: il Parco dell’Alpe Veglia. Lasciamo l’auto nel parcheggio a pagamento (3€ al giorno) in località Ponte Campo di Nembro e attraversiamo il ponte sul Torrente Cairasca per imboccare la strada gippabile chiusa al traffico non autorizzato che parte subito dopo il ponte. Una palina ci indica la via. Volendo è possibile, in alternativa alla strada, prendere il sentiero che parte a destra del ponte e sale per la massima pendenza.

Dopo un centinaio di metri la strada lastricata si addentra nel bosco per salire decisa con stretti tornanti. In un quarto d’ora abbiamo già guadagnato parecchi metri di altitudine. Il parcheggio ormai è solo un puntino nella vallata. Presto la strada esce definitivamente dal bosco e si fa più ripida, oltrepassiamo il bivio per l’alpe Vallé in prossimità di una strana fontana e della sbarra che impedisce il transito nei veicoli non autorizzati. Al di là della sbarra incontriamo il sentiero che sale da Ponte e un piccolo guado dove il nostro pelosone decide di prendersi una pausa. Qua e là degli splendidi fiori allietano il cammino.

Dopo una decina di minuti arriviamo ad un secondo guado, questa volta facilitato da un ponticello di legno. Subito dopo su una roccia a bordo strada troviamo la lapide che ci ricorda il lavoro degli alpini durante la costruzione della strada nel 1940.

Il terzo guado è in prossimità di una roccia liscia abbellita da strane coppelle e da una bella cascata. Dopo l’ennesimo tornante ecco che in basso compare il torrente Cairasca che ci accompagnerà fino all’Alpe.

Continuiamo a salire fino ad incontrare la sorgente “L’acqua di Fraii” dove ci fermiamo per rinfrescarci. Ormai siamo quasi arrivati e dopo un’ultima salita eccoci alla Cappella del Groppallo, il punto più alto della salita. Ora la strada prosegue in falsopiano con alcune perdite di quota e sullo sfondo compare la Punta del Rebbio. Ma ormai manca poco e dopo aver superato il bivio per l’Alpe Devero eccoci al muretto che delimita l’Alpe con la famosa “portea“, il pesante cancello di legno che serviva per impedire la fuga delle mandrie, la zona è attrezzato con tavoli e sedie. Superiamo la casa ex sede dell’ ufficio informazioni del parco e attraversiamo il ponte in pietra sul Rio Cianciavero dal quale si ha una splendida vista del Monte Leone. Ignoriamo il bivio per La Balma e proseguiamo dritto fino al bivio per Cianciavero dove prendiamo il sentiero a sinistra per la prima deviazione della giornata: le Marmitte dei Giganti.

Attraversiamo l’abitato di Cianciavero e proseguiamo lungo il sentiero che costeggia il rio omonimo al cospetto del Monte Leone. Dopo circa venti minuti arriviamo dove dovrebbero esserci le Marmitte ma un’amara sorpresa ci attende: una slavina ricopre il sentiero e il torrente impedendoci di continuare, troppo pericoloso probabilmente le marmitte sono proprio sotto la neve. Proviamo ad aggirare la slavina ma niente da fare.

Delusi torniamo sui nostri passi per compiere il giro della piana di Veglia. Passiamo da AionePonte (dove c’è appunto un bellissimo ponte in pietra) e Isola dove parte il sentiero per la prossima deviazione: la sorgente di acqua ferruginosa. Saliamo lungo il sentiero per circa 15 minuto, ma anche qui un’altra delusione: un grosso cumulo di neve blocca il sentiero e ricopre la sorgente. Siamo costretti a rinunciare anche questa volta.

Scendiamo verso Cornù per riprendere la strada e completare il giro dell’Alpe. Passiamo sotto il rifugio Città di Arona fino a giungere alla fornace per la calce in prossimità del ponte sul rio che scende dal Lago Bianco. Ci fermiamo su una delle innumerevoli panchine lungo la strada e consumiamo il meritato pranzo mentre Toby controlla la situazione. Riprendiamo il cammino ignorando il bivio per La Balma e proseguendo verso il ponte sul Torrente Cairasca, intanto nubi minacciose si accalcano sul Monte Leone. In pochi minuti ritorniamo sulla strada già percorsa in mattinata poche decine di metri prima del’ex casa del parco e da lì incominciamo a scendere seguendo lo stesso itinerario della salita.

 

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Cartina e indicazioni stradali

Accesso stradale: Autostrada A26 e proseguire sulla E62 fino all’uscita Varzo. Seguire le indicazioni per San Domenico. A Varzo svoltare a destra sempre per San Domenico e seguire la strada per 11 km.. Attraversare il paese e seguire la strada per altri 2 km fino al parcheggio a pagamento.

Coordinate parcheggio:  N 46.2525° E 8.169167°

Leggende storia e curiosità

Leggenda del Lago delle Streghe (Alpe Veglia)

Un giorno una bellissima fanciulla, che piangeva disperata perchè il suo ragazzo preferiva passare il suo tempo con un’altra ragazza invece che con lei, incontrò una strana vecchia che filava su un masso a lato di un sentiero.La vecchia la guardò negli occhi e la fanciulla, a quello sguardo, si sentì spogliata ed osservata fin nel profondo, così iniziò a raccontare alla vecchia (che era una strega) tutti i suoi problemi e i suoi dispiaceri, implorandola poi di operare una magia e far sparire la sua rivale in amore, così che ella potesse essere l’unica amata dal suo ragazzo. La vecchia non si sorprese a quella richiesta e, dato che la fanciulla non voleva sentir ragioni, accecata dalla disperazione, acconsentì ad operare quella magia, a patto che la fanciulla acconsentisse prima a guardare un Uomo bellissimo che secondo la Strega avrebbe potuto renderla davvero felice. La fanciulla acconsentì al patto, nonostante continuasse a ripetere che ella non avrebbe mai amato nessun altro che il suo ragazzo, e la Strega le diede appuntamento nello stesso posto per un giorno ben preciso.

Quel giorno la fanciulla si diresse nel magico luogo e senza alcun motivo particolare si sentiva felice e spensierata, percepiva la bellezza dei colori, la purezza dell’aria, la luminosità del cielo ed era felice, quasi dimentica di tutti i suoi problemi. Giunta al luogo predefinito si trovò davanti una grotta, sulla soglia della quale la vecchia strega la stava aspettando. Insieme si incamminarono nel sentiero sotterraneo, che si rimpiccioliva sempre di più fino a diventare un piccolo e basso cunicolo che proseguiva per molti metri. Giunsero infine in fondo al cunicolo, che si apriva in una grande stanza sotterranea e molto calorosa e tiepida. Al centro della grottina altre due streghe stavano mescolando degli strani ingredienti in un grande calderone che si scaldava su un bel fuoco e la fanciulla si sedette lì accanto aspettando che tutto fosse pronto. La vecchia Strega allora le chiese di guardare dentro a due piccole pozze formate da una purissima sorgente che sgorgava dalla roccia e la fanciulla posò gli occhi nella prima. Nell’acqua le apparve il volto del suo innamorato, bello e giovane, ma piano piano ella vide che il suo aspetto cambiava e diveniva più vecchio, banale, spento e triste, coi capelli bianchi e i denti gialli. Si scostò sconvolta e volle fuggire, ma la vecchia Strega le chiese di guardare nell’altra piccola polla, e lì ella potè vedere un giovane meraviglioso, pieno della bellezza e del vigore caldo degli Dei, con gli occhi pieni d’Amore e la forza di un vero Re.

Allora la fanciulla capì il significato di quelle due visioni. Nella prima ella aveva veduto l’amore solamente umano, caduco e momentaneo, che può rendere felici ma non per sempre e continuamente, nella seconda ella aveva potuto vedere l’Amore divino, quello che non si spegne mai e che rimane sempre forte, sempre bello, sempre tiepido e incantato. Ora doveva scegliere quale desiderava, e dopo un primo momento di indecisione, data dall’amore che provava per il suo ragazzo, ella capì che ciò che desiderava era l’Amore Eterno. Allora si alzò e iniziò a danzare con le altre Streghe. Come d’incanto la grottà sparì e la fonte crebbe tantissimo fino a diventare un allegro torrente che riempì il pianoro e creò quello che fu poi chiamato il Lago delle Streghe.

(“Entità Fatate della Padania”, di Alberta Dalbosco e Carla Brughi, Ed. della Terra di Mezzo.)